Il nostro socio e presidente incoming dott. Giovanni Polizzi ha pubblicato, sulla rivista del nostro distretto “Voce del Rotary” n. 18, un articolo: “Ultima chiamata per l’Europa?” Di seguito l'articolo e link alla Voce del Rotary.

Ambasciatore Giovanni Polizzi

A sessant’anni dalla firma dei Trattati di Roma, il Vertice del 6 marzo a Versailles fra i “quattro Grandi” dell’Ue (Francia, Germania, Italia e Spagna) si è concluso con un’intesa sul rilancio del progetto europeo anche a mezzo di «nuove forme di cooperazione differenziata» (Hollande), cioè a «diversi livelli di integrazione» (Gentiloni), in «un’Europa a più velocità» (Merkel). Nella prospettiva della Brexit il formato inconsueto dell’assise di Versailles appare di grande interesse per l’Italia, che potrebbe ritrovarsi a svolgere in seno all’Unione Europea la funzione di un ago della bilancia del rapporto franco-tedesco, meglio e più della Spagna, unico dei quattro a non essere un Paese fondatore. Ulteriore motivo di interesse potrebbe poi rivelarsi un ribilanciamento delle azioni dell’Ue verso l’area del Mediterraneo, alla quale appartengono tre dei “quattro Grandi”, con conseguente maggiore attenzione ai problemi del nostro Paese.

 

ultima chiamata per Europa

Quella delle “cooperazioni rafforzate” non è un’idea nuova nella storia del processo di integrazione europea, essendo comparsa già negli anni ’70. Quale procedura decisionale, prevista da vigenti norme dei Trattati, fra Paesi membri interessati a farvi ricorso in determinati ambiti, è un utile strumento per controbilanciare, all’aumentare dei membri, la maggiore difficoltà di raggiungere il consenso su temi specifici (anche l’euro nacque da una cooperazione rafforzata a 6, via via allargatasi a 19 Stati membri). Un istituto opportuno, quindi, ma che non va esente dalle critiche di quanti vi scorgono invece il tentativo di conciliare la necessità di rafforzare l’integrazione in settori-chiave che richiedono cessioni di sovranità con quella di mantenere saldo il potere degli Stati.

Quel che di veramente innovativo è emerso dal Vertice di Versailles sono stati il forte spirito politico di coesione e la netta determinazione dei quattro leader per un effettivo ed efficace rilancio degli ideali unitari europei. Finalmente è sembrato che la politica abbia inteso riprendere l’iniziativa e il controllo del processo di integrazione, forse sinora troppo, e troppo a lungo, affidati alla burocrazia di Bruxelles. E ciò poiché non si tratta di anteporre il livello intergovernativo a quello comunitario, ma di ammettere con realismo che, come dimostrato dall’esperienza, integrazione economica e monetaria non bastano da sole a costruire l’unione politica e che eventuali avanzamenti sul cammino di un’Europa unita non possono che passare, proprio come agli albori, attraverso la comune volontà dei governi.

Scriveva agli inizi degli anni ‘70 Raymond Aron che, come gli esseri umani, così anche gli Stati non si associano quasi mai perché convinti dei maggiori vantaggi che ne derivano, ma solo perché uno di essi prevale sugli altri o perché si trovano tutti a far fronte a un comune nemico.

europaI 60 anni dei Trattati di Roma: la foto del 1957 a confronto con quella sottoscritta nel 2017 dai leader dei Ventisette Stati membri, Consiglio europeo, Parlamento europeo e Commissione europea

 

Sessant’anni fa, esattamente il 25 marzo 1957, Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussem­burgo e Paesi Bassi, intenzionati a progredire al di là della cooperazione avviata nel 1951 nei settori strategici del carbone e dell’acciaio, firmavano a Roma i Trattati istitutivi dell’allora Comunità Economica Europea, progenitrice dell’odierna Unione Europea. Erano sei Paesi decisi a rafforzare l’assetto pacifico dell’Europa occidentale intorno a una consolidata riconciliazione franco-tedesca, ma spinti a unirsi, in piena “guerra fredda”, anche e soprattutto per far fronte alla crescente minaccia sovietica: non a caso, infatti, la CEE nacque appena quattro mesi dopo la sanguinosa repressione dell’insurrezione ungherese del novembre 1956.

E ancora. Grazie alla lunga fase di crescita espansiva degli anni ‘60, il periodo transitorio previsto dal Trattato CEE si concluse in anticipo di diciotto mesi, con la creazione del Mercato Europeo Comune il 1° luglio 1968; al di là della cortina di ferro fioriva da pochi mesi la primavera di Praga, poi soffocata il 20 agosto dai tanks del Patto di Varsavia. Altra significativa coincidenza: aprile 1978, crisi a Kabul, pilotata da Mosca, sfociata nel dicembre 1979 nell’invasione sovietica dell’Afghanistan; giugno 1979, prime elezioni a suffragio universale diretto del Parlamento Europeo. In entrambi questi ultimi casi la correlazione temporale registrò, sia pur di poco, una precedenza delle tappe europee sulle azioni sovietiche.

Ma, tra fine 1989 e fine 1991, a seguito della caduta del muro di Berlino, della riunificazione tedesca, della dissoluzione dell’URSS e del definitivo crollo del comunismo in Europa centrale e orientale, e cioè dopo il venir meno della “minaccia” quale percepita fin dagli anni ‘50, il processo di integrazione europea, nonostante passi avanti pur significativi (Trattato di Maastricht, Accordi di Schengen, entrata in circolazione dell’euro o Trattato di riforma di Lisbona), iniziò a perdere slancio, allontanandosi da quegli ideali di unificazione politica che ne avevano ispirato la nascita e rendendo l’Ue sempre più simile ad una sorta di, sia pur rafforzata, grande area di libero scambio. La politica dell’“allargamento”, oggi dichiarata sospesa dal Presidente della Commissione Juncker, invece di procedere in parallelo con quella dell’“approfondimento”, finì col sopravanzarla. E dal 2004, anno dell’ingresso di ben dieci nuovi membri che segnò il definitivo superamento delle divisioni politiche tra Europa occidentale e orientale, l’Ue continuò a crescere solo nel numero dei suoi membri, ma non anche nei suoi assetti comunitari, nello spessore politico delle sue azioni o nella progressiva realizzazione dei suoi ideali unitari.

A fronte di uno scenario internazionale reso magmatico dalla percezione di una crescente aggressività della Russia, dall’aumento dell’instabilità in Medio Oriente anche a causa della mancata soluzione della crisi siriana e dalla recrudescenza dell’estremismo islamico con i suoi attacchi terroristici contro l’Occidente, l’Unione reca oggi i segni dei nefasti effetti della crisi economico-finanziaria del 2008, della conseguente rinascita dei populismi e dei nazionalismi, della contemporanea avanzata dell’euroscetticismo (già evidente alle elezioni europee del 2014) e delle inquietudini suscitate dalla crisi delle migrazioni, con il suo carico di imprevedibilità e imponderabilità e di persistente carenza di soluzioni durevoli.

europa2Alcuni vedono nella Brexit il primo tassello di dissoluzione dell’Unione Europea. E di certo il venir meno dal concerto degli Stati partner proprio del grande Paese simbolo storico di quegli stessi ideali di democrazia e libertà su cui si fonda l’Ue rappresenterà anche un forte trauma psicologico-culturale per l’intera Unione. Né varrà a rinsaldarne lo spirito (anzi tutt’altro) la prevedibile disattenzione della nuova Amministrazione Trump, assai più interessata al rapporto bilaterale con la stessa Gran Bretagna e con pochi altri grandi Paesi.

In questo sofferto contesto il Vertice a quattro di Versailles sembra poter apportare nuova linfa all’Unione Europea. Da un’oculata azione congiunta dei “quattro Grandi” potrebbe scaturire una nuova, e forse ultima, chiamata per l’Europa, i cui Paesi, per citare Aron, tornerebbero a trovarsi a far fronte a un comune nemico. Non più ad un nemico esterno, questa volta, ma a un nemico interiore assai più subdolo: l’incombente fantasma della fine dell’ideale unitario europeo e della disgregazione di quanto da essi stessi edificato in sessant’anni di pace, di crescita economico-sociale e di progresso.

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In alto, la conferenza conclusiva del Vertice di Versailles con Gentiloni, Merkel, Hollande, Rajoy. Sopra, targa commemorativa del muro di Berlino